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November 12, 2017

IL TEMPO COME NARRATIVA

Ne ho letto tanti libri di Fisica e di Filosofia cercando di comprendere la realtà essenziale del tempo, così come dei testi religiosi, siano Buddisti o di altre religioni, su questo stesso tema.
Una argomentazione molto potente, rispetto non solo sull'essenza del tempo ma anche su quella dello spazio, l'ho trovata nell'Estetica Trascendentale [dalla Critica della Ragione Pura] di Immanuel Kant, un testo cui mi è apparso avere  forza apodittica.
A mio parere, la fisica e la meccanica quantistica relativistica, hanno empiricamente dimostrato quello che questo filosofo di Königsberg aveva già razionalmente dedotto: il tempo e lo spazio, sebbene così chiaramente percepiti come esterni a noi, ci vengono dati prima di ogni percezione, cioè, sono precondizioni imposte dalle nostre menti su tutti i dati empirici arrivati alla nostra coscienza, vale a dir sono imposte a qualsiasi "mondo esterno" possibile di essere conosciuto da noi.
"Eppur si muove" Galileo Galilei mormorò sottovoce, agli inquisitori che lo hanno costretto a tacere, a nome del presunto ovvio a tutti quanti guardano il cielo di che il sole, la luna e tutte le altre stelle ruotassero attorno alla Terra, come è stato detto da Aristotele ed  sta in coerenza con le Sacre Scritture [almeno secondo quei dottori della Chiesa di Roma].
Ma qua su questo tema, confesso io: Benché tanti sapientissimi filosofi, scienziati e altri saggi affermano il carattere illusorio del tempo, cioè, che esso non ha alcuna realtà in sé, il nostro pensiero troppo umano dice: "Eppure, questo mondo, la vita che ci tocca, tutto che possiamo capire, mai potrà accetare che il tempo venga considerato un'illusione umana". E, se dichiaramo pensare così a qualcuno, tanti ci guardano con quella espressione: "ma Lei, signore, è divenuto pazzo dal studiare troppo!"

Nonostante tutte le teorie scientifiche o metafisiche, dopo chiudere i libri cui trattano del tema, non c'è nemmeno bisogno di guardare intorno per insistere che noi solo esistiamo come immersi nel tempo, un entità fisica da cui le nostre vite concrete sono totalmente dipendenti.
Siamo anche consapevoli di aspettare, forse il più indesiderato degli eventi della vita, vale a dire la nostra morte, per un certo istante che verrà nel flusso temporale. Non senza ragione, quindi, siamo abbastanza inclini a dire parole simili a quelle di Galileo, anche se questa volta non in difesa di un pensiero scientifico in avanti, ma come un grido di aiuto a favore del tanto disprezzato "senso comune":
"Eppure, si muove il passato verso il futuro come qualcosa di esterno a noi, anche se così misterioso, permeando questo Universo[ oppure Multiverso]".
Come svelare questo paradosso?  
Ridefinire  il concetto d'illusione sarebbe una soluzione? 
Dovremmo quindi definire un limite molto chiaro tra il mondo degli eventi quotidiani, cui è accessibile al buon senso di quell'altro mondo astratto il quale deriva dalla metafisica e dalla matematica fisica? Come se fossero regioni incomunicabili dell'Essere?
Se è proprio dell'essenza del tempo di esistere soltanto come imposizione dalla nostra mente ai dati empirici, non più di un'illusione risultante dal nostro unico modo possibile di catturare il mondo, come conciliare questo con l'evidenza cosciente che l'universo stesso è permeato di questa 'cosa' fisica, che ci pare imprigionare?

Rilasciando le ali per l'immaginazione

Qualche tempo fa mi è venuta in mente un'analogia semplice, per cui è bastato dare ali alla fantasia, e che mi sembra un modo interessante per aggirare questa enorme difficoltà inerente alla comprensione umana, quando si tratta di accettare che il tempo possa esistere soltanto come interno a nostra mente, o anche di accetare che sia derivato di relazioni tra eventi, invece di avere una essenza esterna ovvia.
Ho immaginato che l'universo fisico fosse qualcosa di simile a un romanzo meraviglioso stampato in un libro rigido. Ad esempio, uno simile a questo Ulysses, di James Joyce, sulla mia scrivania. (Sì, dobbiamo ammettere che entrambi non sono facili da leggere. Molti dicono che comprenderli possa essere anche compiti impossibili!).
Gli esseri umani letterati, dedicati (e coraggiosi) possono provare a leggerli. Non dimentichiamo, tuttavia, che la lettura, la comprensione e la decifrazione hanno significati diversi, specialmente di fronte a questi due "libri", il cui nome inizia con la lettera "U".
Vivere sarebbe per ognuno di noi, qualcosa come leggere un particolare capitolo di questo libro, qualcosa che facciamo con i nostri occhi assorbiti nelle sue pagine, dalla nascita alla morte. E ci avremmo resi conto che non avremmo capito nulla del suo contenuto se abbiamo cercato di leggerlo in un altro ordine. Qualcosa che indichi con certezza la freccia unidirezionale del tempo, impossibile anche sognare di invertire il suo corso (diciamo, dal futuro al passato).
Nulla cambia all'interno di questo libro di hardcover, mentre tarscorrono le nostre vite, cioè, siamo nati, viviamo e muoriamo.
Nonostante le nostre percezioni temporali e le illusioni, il libro, stampato e legato da Dio, è sempre lì, immutabile, impassibile, immobile. Eterno.

P. S.: Qui tra noi, l'Ulysses di James Joyce deve essere molto più semplice da leggere rispetto all'Universo! Qualcuno non è d'accordo?

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