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July 19, 2019

GENEALOGIA DELLA #MUSICA

“Questa potente illusione che noi umani chiamiamo TEMPO è non altro che una placca di coltura (come quella di Pietri da crescere batteri) in cui i desideri e le frustrazioni nutrono le nostre vite.Orgasmo è Eternità, dissoluzione del sé stesso nell'infinito, fusione con l'Assoluto.”                             Enrico Tenaglia, filosofo italo-brasiliano. 
Sono nato vicino dal grande fiume che attraversa il deserto, sotto l'ombra protettiva di un enorme baobab, non così lontano dalla riva del mare. I dolori di colui che mi ha dato la nascita sono durati non più che pochi minuti. C'era tanta gioia e splendore negli occhi di coloro che videro la mia nascita.
Da ragazzino, giocavo nei prati lì vicini: saltavo e correvo per il bosco. Diventai un uomo forte e muscoloso, in modo a attrarre presto il desiderio forte di tutte che mi vedono. Fin da sempre mi dono con tutto il cuore a chi amo, ingenua e teneramente. Presto mi sono accorto di averci formato un'orda: io, un unico maschio, circondato da innumerevoli femmine e dalle squisite delizie. Cominciammo a camminare lungo quelle acque fluenti, fino al mattino quando abbiamo raggiunto acque salate con onde alte. Sparpagliavamo così tanti bambini, ragazzi, ragazze, lungo tutta la costa. Ci   eravamo diretti a quella terra lontana che ogni mattina da alla luce i soli. Eravamo nomadi, vagabondi, e il nostro numero continuava ad aumentare costantemente.
Una mattina estiva, subito notai che alcune donne più vecchie non destavano più il mio desiderio. Le abbandonai, e spostai loro fuori nostra orda. Comunque, continuarono a seguire le mie impronte sulla sabbia. Lo facevano a cercare di vedermi, anche se da lontano. Tali femmine costantemente sognavano i miei occhi.
Assetato per la vita, desideroso di ogni tipo di meraviglia, ho continuai a cercare nuove terre, nuovi paesaggi. Il nostro grupo vagante quindi diventava più numerosa tanto da coloro, qua sempre presso a me, offrendosi al mio corneo senza fine, come dai rifiutati, che, sognatori ad occhi aperti, ci seguivano da lontano.
Scambiavo, a una velocità crescente, le donne anziane per i giovani che generavano. Ragazzi maschi e femmine diventavano presto amanti caldi, gentili e vigorosi.
I due sottogruppi allora sempre tenuti a distanza costante uno dall'altro, cioè, dentro un cerchio da dove nonostante respinti da me, quella gente era ancora in grado di contemplare i miei occhi e loro splendore.
Non avevo nome siccome nessuno di noi ce l'aveva uno, nemmeno le cose lo possedevano. L'unico linguaggio presente nella nostra vita era quello dei gridi gemiti d'amore in orge. Nient'altro.
Un giorno, mentre quel sole se ne stava andando al tramonto, raggiungemmo strano mare, estremamente salato. Solo pietre non galleggiavano sopra le sue acque. Sembrava di non avere nessun pesce. Abbiamo camminato lungo sua riva, a mangiare dei piccoli animali cacciati in mezzo alle rocce dei dintorni. Finché non arrivammo alla foce di un fiume, ove fu trovato pesce. Ci siamo arrestati poi perché c'era da mangiare e da bere in abbondanza. Davanti da quello scontro d'acque, quella fluente e quella salata,  son potuto raggiungere la più alta forza e bellezza di maschio. Mi innamoravo delle ragazze appena spuntava nei loro occhi un desiderio caldo e maturo. Gentilmente abbracciavo ragazzi dalle belle ed allargate spalle, e  lussuriose cosce muscolosi.
Tutta quella gente bellissima, generata dalle mie femmine, mi amava furiosamente.
Diverse autunni prima, la più bella delle mie donne aveva dato alla luce un ragazzino che presto assomigliava sempre di più a me stesso: sul suo volto, sul suo desiderio d'amore, sul suo dote maschile, sui suoi capelli, nei suoi occhi. Non appena venne suo primo e forte desiderio maschile, fu riuscito a scopare con l'incantevole femmina da cui era nato. Anche io, maschio così bello e tanto simile a lui, fu presto desiderato e con la stessa intensità.
Sul bordo destro di quel fiume, vicino a quel mare su cui tutto galleggiava, fra tante rocce è accaduto un incontro diverso in tre, sempre nudi come vivevamo io, lui e lei.  La mia erezione fu la più forte di cui mi possa mai ricordare. I tre  insieme, ci siamo amati tanto, abbracciati così forte e teneramente, mescolando i nostri corpi, fino a quel nostro ululare unisono e lungo in mezzo alla calda notte d'estate.
Come due identici uomini avremmo potuto proseguire fianco a fianco, senza mai fermare d'amare e di essere amati da tutta quella gente. Chi sarebbe in grado di distinguere uno dell'altro? E per cosa? Questo sarebbe stato il nostro destino, uomini belli, forti e leali, amanti in orge perpetue. Io qua, un maschio maggiore, più esperto, presso lui, adolescente anche corneo e stupendo.
Nonostante fossimo due, perché occupavamo luoghi diversi nello spazio delle cose, saremmo capaci di esibirci come un singolo essere vivo, camminanti sempre in direzione a quella terra misteriosa da cui ogni mattina un altro sole sorge.
Eppure, qualcosa di abbastanza inaspettato accadde. La situazione dalla quale sorse possibile un tale strano evento fu una di quelle deliziose notti in cui noi, entrambi maschi, e lei, la nostra compagna più cornea e assidua, facevamo l'amore in terzetto. Forse per aver generato lui nel suo stesso corpo, il suo desiderio per lui divenne improvvisamente più intenso. Lei fu quindi in grado, per la prima volta, di distinguere tra di noi. 
Subito dopo quella sua scelta, lei gettò contro di me tutta la sua potente stregoneria e mi ha dato un nome: "Padre".
Ci sono accaduti tanti piaceri e gioie, ma fu già impossibile a noi trovare quella meravigliosa simultaneità che tante volte ci aveva spinto tutti e tre a gemere e ad urlare forte insieme. Sembrava che l'intensità dei nostri desideri non si fosse indebolita, ma ci mancava però qualcosa molto più poderosa del corneo per farci scopare in un solo e stesso ritmo.
Tutti e tre, tristi e frustrati, ci guardavamo quindi negli occhi mentre ci aspettava ancora un'altra delle sue stregonerie.
Lei chiamò quel suo ultimo godimento avuto con mio corpo come "il Passato'. A quello avuto di seguito col giovane, separati dal mio, diede "il Futuro". E allo stato di noia e frustrazione in cui eravamo messi poco prima dell'alba, designò "il Presente".
Lei chiamò quel suo ultimo godimento avuto con mio corpo come "il Passato'. A quello avuto di seguito col giovane, separati dal mio, diede "il Futuro". E allo stato di noia e frustrazione in cui eravamo messi poco prima dell'alba, designò "il Presente".
"Figlio" e "Madre", parole anche create da lei, entrambi allora scacciati e infelici, furono ancora in grado di concepire un'altra dimensione del tempo, in cui ci potrebbe ancora esistere quel nostro tipo di vita, vissuta  da tutti noi prima Madre cominciasse quella valanga di parole, la quale non si è  mai fermata.  Un modo di vivere, di essere e di amare, dove sarebbe ancora possibile rifare quel nostro primo terzetto.  A quella dimensione del tempo, lontana e intangibile, lei chiamò "Eternità". L'orgasmo esplosivo, intenso e simultaneo vissuto da noi tre fra quelle rocce, impossibile da descrivere, lei chiamò "Dio".
Nel gruppo dei respinti, dove la gente cominciava già ad alimentarsi dai sogni e dalle fantasticherie portati dal ricordarsi dei miei occhi, 'Figlio' fu presto ammirato e desiderato calorosamente. 'Madre' cercò di insegnare a tutti la stregoneria dei nomi e dei tempi.
Se il godimento con 'Padre' era il 'Passato', se la loro vita come rifiutati era il 'Presente', se raggiungere Madre e Figlio il culmine insieme era il 'Futuro', e la felicità infinita che avrebbe potuto essere, era l'Eterno', quella coppia si sentiva già in grado di separarsi dai miei occhi.
Questa decisione è stata presa dal gruppo proprio quel giorno in cui Figlio parlò a la sua gente su di 'Dio', una gioia, un godimento indescrivibile, impossibile di tradurre in parole le sue ricche sfumature, suo ritmo fatto in terzetto, così sublime ed armonico. Impossibile anche a qualcuno di provare sia la sua intensità, sia perfino la verità di sua esistenza. Mentre cercava di spiegare loro questo, lui ha creato per prima volta una sequencia di suoni e ritmi, chiamata da allora in poi la `'musica'.
Questo gruppo, in cui sempre chiamavano con parole a più e ancora più oggetti concreti. siccome anche sensazioni, seguì il corso della terra che inghiotte il sole ad ogni tramonto.
Da me hanno portato ricordi delle orge, oltre del dolore senza fine sentito da non potere mai piu incontrarmi.
Mai la gente respinta, nemmeno nelle sue innumerevoli generazioni ancora per venire fu capace di dimenticare quelle parole, i nomi che "Madre" aveva dato a ciascuna delle sensazioni da loro avuta nei contatti intimi con me: "Infinito", "Bello" , "Passato", "Eterno", "Dio".

                   XXX

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