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April 2, 2018

GELSOMINI

È successo in una di quelle prime notti fredde di marzo, quando sentiamo sulla nostra pelle che l'estate se n'è andata via dalla nostra piccola Stanley e da tutta Patagonia. Chi avrebbe mai immaginato che eventi così strani potrebbero accadere proprio a noi, da questo piccolo e tranquillo comune sulla punta meridionale della Terra? Proprio con questa gente così pacifica, tranquilla e laboriosa? Eppure chi l'avrebbe detto fosse possibile un colpo  diretto su di noi, le donne Kelper*, chi sempre abbiam saputo preservare, se non un'assoluta e antinaturale castità, almeno la nostra infrangibile dignità.
Io, Maria de la Concepción, sposata da tempo con Carlos Ramón, non avevo ancora ricevuto il dono divino di concepire un figlio. Il dott. Caballero, tuttavia, ci aveva già  assicurato che tutto andava molto bene con i nostri corpi, e ci raccomandava di non avere fretta, e lasciare andare il corso naturale delle più grande meraviglie della vita. "Non dovresti preoccuparti così tanto," disse. E sottolineava che tutta la nostra ansia renderebbe la concezione spontanea di un nuovo essere forse ancora più difficile.
Per quanto riguardasse a me, mi ero rassegnata e non contavo più quei giorni d'angoscia. Tuttavia, il mio povero Ramón soffriva, dato che ad ogni mese annotava nella sua agenda l'inizio, ed anche la quantità e l'intensità approssimativa dell'odore del mio flusso mestruale. Lui registrava data e ora della prima e dell'ultima goccia di quel sangue mio, e stimava i giorni più probabili per la mia ovulazione. Rimanendo lontano da mio corpo durante la prima settimana ma anche dopo la metà del mio ciclo. Gettavasi su di me e mi possedeva, con tutto il fuoco e come fosse un gaucho affamato per carne, ritualisticamente dall'undicesimo al ventesimo giorno di mio periodo, perché un amico tedesco gli aveva detto di avere fatto tutti i suoi sette bimbi tedeschini a mezzanotte. Ramón, chi è estremamente suggestionabile, spesso borbotta nei sogni questa stessa frase: "7 per Hans, 0 per Ramon, che vergogna!" E lo fa esaltare come se Hans fosse la nazionale tedesca di calcio, e lui stesso un argentino in quella finale del Mondiale di 2014, in Brasile. Dopo continua a borbottare: ma se potessi essere almeno come la squadra del Brasile in quella partita persa da 7 a 1 dalla Germania in Belo Horizonte! Hans Hoffmann, in nome di Dio, solo un piccolo goal mi renderebbe l'uomo più felice della terra!
Finché il giorno è venuto in cui a me toccava il dovere di raggiungere il più intenso degli orgasmi, altrimenti il ​​mio utero non succherebbe lo sperma con la sua forza massima (idea proveniente da letture scientifiche fatte da lui così spesso). Sì, l'inevitabile conseguenza era che tante volte dovevo semplicemente fingere un "piacere di massima intensità" per non ferirlo, anche se di tanto in tanto le mie urla e i miei gemiti erano, e son tuttora, sinceri ed esplosivi, rumorosissimi a punto di venire sentiti da tutti nel nostro piccolo Port Stanley. Quindi, non potrebbe essere debolezza d'orgasmi, la vera causa di nostra infertilità, ne sono molto sicura di questo.
Fu con grande sorpresa, quindi, che il 21 marzo, mentre dormivamo profondamente nel cuore della notte, sentii quel tocco così morbido e così rigido, così ardente e esasperante nel punto più sensibile della mia figolina, la 'pupu'. Quest'ultima parola è usata da Carlos Ramón per molto affettuosamente riferirsi ai miei genitali sin dalla prima notte del nostro matrimonio. All'inizio, pensai che Ramon stava finalmente buttando fuori il suo ridicolo calendario insieme a suo stupido orologio, perché eravamo al settimo giorno del mio ciclo, quello in cui, per la prima e più strana volta, rimasi incinta.
Mi lasciai andare, senza aprire gli occhi, poiché era sempre così che raggiungevo più facilmente estasi così intense, cioè, era un modo molto piacevole di non dover fingere come una semplice pornostar. No, per favore non concludere che sempre sognavo di stare con un altro bel ragazzone. Per la maggior parte del tempo, preferivo non guardare il viso di Ramón, dato che  non volevo vedere più quella sua enorme paura di non avere figli dal suo sangue.
Così, fin dal primo momento di quella dolcissima e inaspettata penetrazione , e senza aprire i miei occhi, ho rilassato completamente tutto il mio corpo, mie cosce aperte, ero inondata da quel corneo.
Allora, ho notato una cosa piuttosto esotica, cioè, un improvviso cambiamento di atteggiatura, poiché Ramón non aveva messo sue mani sulla mia figolina. Non stava una volta in più ripetendo quei trucchi un po' meccanici che leggeva spesso nei manuali di sessologia, e cui, nonostante questa origine fredda e accademica, avevano spesso mostrato i loro buoni risultati nel causarmi intensi piaceri.
No, non posso sottovalutare le abilità di Ramon come partner a letto, ma in quella volta le cose sono state molto più sublimi, fin dal primo tocco, così sorprendente, ma anche in quei movimenti ritmici e quella rigida morbidezza di suo spesso e caldo cazzo, con cui mi scopava mentre suo tocco sembrava far scivolare piume sulla mia coscia.
Per prima volta nella mia vita, mi son completamente abbandonata, e ho persa, in piena veglia, la coscienza di me stessa, mi sono sentita come mescolata con le cose, con il mondo, mentre a urlare come lupa, a ruggire come leone, e piangendo come un neonato. Ululavo intensamente  immaginando che nessuno sarebbe capace di gridare così tanto nella resa all'amore. A dire la verità, in quel momento, non riuscivo a prendere  se non come un sogno paradisiaco quella exquisita sensazione di morbide piume sfreganti sopra i miei genitali. Non volevo sbrigarmi per aprire gli occhi, anche se già sospettassi fortemente che non ero stata penetrata dal cazzo di Ramon, ma da quello di un sconosciuto, forse di un naufrago perso e assetato dal Atlantico Sud. 
Ho gemuto lì per circa venti minuti interi. Ramón mi corregge, dicendo che ho urlato per esattamente 49 minuti. Ma non posso credere, poiché mi pare troppo tempo. Bene, ma cosa n'importa questo?
Aprii gli occhi e non era stato un altro uomo a penetrarmi in quel modo così tanto inaspettato quanto meraviglioso. Né veniva da Carlos Ramón tutto il sovrabbondante semen cui, finalmente, fu riuscito a farmi diventare madre. Mio marito si era svegliato con i miei ululati di piacere, ed rimasto lì a guardarci: io, allucinata di desiderio, donandomi interamente (non solo la figolina), offrendo tutto il mio essere a quel così atletico, robusto, elegante, corneo pinguino. 
Sì, è stato uno degli inumerevoli pinguini, così dolci, che abbondano a lanco Bay, che è venuto da me quella notte. La presenza di Ramón al mio fianco non lo ha intimidito nemmeno un po', e mentre finivamo i nostri gridi di godimento all'unisono, io, il mio pinguino e mio marito ci guardavamo con un certo imbarazzo. Stavamo fissando, perplessi, tutto quello sperma inodante. 
Difficile dare numeri, ma avrebbe riempito almeno sette boccale di compagno, senza esagerare! Avevo una strana sensazione di pienezza nella mia pancia inferiore, e quel fluido denso non smetteva di gocciolare sulle mie cosce, consumando i molti asciugamani che Ramon aveva portato per cercare di assorbire l'eccesso. E trasudava dal liquido più prezioso un forte odore di gelsomino. La forte fragranza dei gelsomini dal dolce seme del mio pinguino. Sì, puzzava dolcemente come i gelsomini delle notti estive di Buenos Aires.
Storditi e stupiti da quella fragranza, né io né mio marito riuscimmo a vedere quando il nostro amante se n'è partìto verso il mare senza neanche salutarci.
Noi, donne kelper, non sapevamo che lo sperma dei pinguini odora di gelsomino. Tutti abbiam annusato la sua fragranza quella notte d'autunno, e non solo donne sposate, come io, ma anche vedove, divorziate o puttane, ma persino delle ragazzine vergine. Tutti noi, senza eccezione, diventiamo incinte da quel gelsomino liquido. 
Appena abbiam sospettato la gravidanza, negli occhi di Ramon vidi un barlume di felicità che suggeriva gli era venuto in mente la possibilità di un  bambino, ossia, del figlio da tanto desiderato. Non lo era, e ben presto abbiam appreso rispetto la sua natura rara e peculiare: la mia pancia cresceva troppo velocemente. Quello mi sembrava pure molto strano! Solo due settimane dopo aver annusato la exquisita fragranza mentre scivolava ancora lungo le mie cosce, il mio addome era grande come fosse incinta già per quattro mesi. E il 28 aprile, all'alba, ci fu un'evento di molto forte impatto nelle nostre vite di abitanti delle Malvine. Subito, mi è venuto un dolore uterino, e sapevo che centinaia e di donne lo sentivano in quello stesso momento. Ognuna di noi ha messo un grande e bel uovo.
Tutti noi ci siamo presi cura delle nostre uova appena messi, come qualunque fa ai suoi bambini più amati. Sapevamo tutte, ma anche ci veniva come forte desiderio,di tenerli al caldo ininterrottamente, come quelle di qualsiasi uccello, e, per questo, ci siam presi cura di loro ininterrottamente in quell'autunno, uno dei più freddi mai registrati nella storia delle nostre Isole.
L'ho messo sul mio letto, da dove forse avrei voluto che non sarebbe mai uscito. Ho acceso il riscaldamento centrale alla massima potenza, ma temevo ancora che non sarebbe stato abbastanza per assicurargli il diritto di nascere. Quanto a mio marito, tranquillamente continuava ad aiutarci. Ma non pensar male di lui, perché a quel punto sembrava non avere altro che una piccola traccia di speranza che il suo piccolo Ramoncito potesse essere dentro quel guscio. Ci portò tutte le coperte della casa e io gli chiesi di accendere il caminetto, come era fatto negli inverni della mi fanciulezza a San Carlos de Bariloche.
Non mi sono affatto allontanato dal mio bambino-uovo neanche per un secondo durante quei due terribilmente freddi mesi. Lo misi sotto 7 coperte, e anche gli dava tanto del calore del mio corpo. Dormivamo molto vicini, pelle contro guscio, lo abbracciavo e lo avvolse con cura tra le mie gambe.
Le notti più lunghe in Patagonia hanno sempre celebrazioni festose, ma nella notte di 23 giugno, San Giovanni, tutte noi, donne di Stanley, rimanevamo dentro nostre case, ad aspettare il momento in cui quella gestazione, molto singolare e misteriosa, sarebbe finita, e noi avremmo dato alla luce quegli esseri, rompendosi i loro gusci bianchi.
L' amore per mio uovo è stata la passione più intensa che mi abbia mai consumato in tutta la mia vita. Confesso che a volte non mi contenevo e strofinavo la figolina contro sua corteccia, anche se il calcare fosse così duro. Ma di una durezza bianca, così piena di pace, presagio di vita e gioia! 
Ormai non ho perché dire mezze verità: mi strofinavo il corpo contro lui gentilmente ogni notte, ogni mattina, ogni pomeriggio, ricordando incessantemente l'alba magica, fantastica e stellata in cui suo padre mi aveva visitato. E ho cominciato a cantare "La noche que me quieras, desde el azul del cielo,las estrellas celosas nos mirarán pasar".  Cantando questo brano, cominciai a chiamare suo tanto desiderato padre come Gardel. Che forte e bella emozione!
Né io né Ramón siamo riusciti a capire fino ad oggi, la ragione perché Gardel, il mio pinguin gelsomino, non è mai tornato a casa nostra. Nemmeno il motivo di precipitarsi così velocemente verso il centro della baia,  senza dire una sola parola come addio. A volte sospettiamo di averlo ferito, o ai suoi sentimenti personali, cercando di asciugare il suo semen con i nostri asciugamani semplici e sbiaditi. Non ci perdoneremo mai a noi stessi per un gesto così rozzo.
Alla fine, quando il guscio fu rotto, tutto accadde come avevo già da tempo intuito. Nessun mostro era nato - metà uomo e mezzo pinguino - come profetizzavano alcuni tiratori fantasiosi. Il 24 giugno, a mezzanotte, ho avuto per il guscio di quell'enorme uovo, il mio primo figlio: un bellissimo, elegante e grazioso pinguin bambino.
Le ore che si sono seguite sono state molto tristi per tutti, uomini e donne, dalla nostra piccola e lontana isola, così dimenticata dal resto del mondo. Non so come siamo a esse sopravvissuti. Dopo ogni uovo era rotto, una madre si era messa a urlare e a piangere, implorando al suo bambin pinguino, appena nato, di non andare via al mare.
I nostri figli non hanno risposto agli appelli, e anche riconoscendo noi stesse come loro madri, distolsero lo sguardo da noi, notando a malapena la presenza dei loro patrigni umani lì al nostro fianco. Nuotarono molto lontano, a centinaia, verso l'immensità dell'Oceano Atlantico. Centinaia di pinguini, chi non avevano qualsiasi tracci umani, ma chi abbiam amato ancora di più di se li avessero.

 * Kelper è il soprannome dato dagli argentini agli abitanti delle isole Malvinas, o Falkland, e correttamente assimilato e accettato dalla popolazione di origine britannica. Derivato dal nome kelp, un'alga molto comune in quelle acque del Sud Atlantico.

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